domenica 23 ottobre 2011

Quando ero paggio del duca di Norfolk ero sottile, sottile, sottile....





Venerdì della scorsa settimana, mentre guardavo sconsolata le vetrine, pensando  come Falsataff che anch'io una volta ero "sottile, sottile, sottile", mi sono domandata: ma le mie coetanee sono tutte  perfette? Hanno tutte taglia da mannequin come avrebbe detto la mia nonna materna che faceva la sarta?
E' vero, non entro più nel mio abito da sposa, non sembro Audrey Hapburn e l’età e la maternità hanno fatto sì che il punto vita attuale non sia quello di Rossella O’Hara e il lato B non sia quello di Pippa, ma non devo ricorre a taglie con la X  e sono meno rotonda della signora Merkel.  .
Ma nelle vetrine cittadine che ho perlustrato, prima dell’appuntamento dal dentista, alla ricerca di qualche capo invernale, io che mi sento   più a mio agio con gonne di una certa lunghezza, che evito tutto ciò che è attillato o che comunque “segna” ed evidenzia la rotondità che una volta non c'era, che ai leggins preferisco pantaloni stile anni ’40 morbidi e ampi perchè nascondono quello che c'è di troppo, che punto – anche per carattere -  su colori sobri,  ho visto sfilate di fasciatissimi pantaloni bianchi, panna e color cammello, un discreto numero di gonne (molto) corte, abitini di maglia,  lunghi cardigan elasticizzati che, indossati, mi starebbero come il budello della salsiccia.
Sono tornata a casa con la faccia di una che è stata dal dentista e con due  sottogiacca: uno, ovviamente, nero e l’altro, per stare in tema autunnale,  color .... foglia d’acero, tinta che mi piace nell’abbigliamento e anche in cucina, declinata in tutte le sue sfumature, come in questa profumatissima gelatina di mele cotogne che ho preparato, secondo la ricetta de lospaziodistaximo, per utilizzare una parte delle mele cotogne avanzate dalla marmellata.

Gelatina di Mele Cotogne
Ingredienti

per 1 kg di succo di mele
700 grammi di zucchero
il succo di 1 limone

Procedimento

Come già detto per la marmellata di mele cotogne, lavare le mele, eliminando bene la peluria che le ricopre. Tagliarle in quarti, togliere il torsolo metterle in una pentola coprendole, a filo, di acqua. Mettere sul fuoco e lasciare bollire per 1 ora. Rivestire uno scolapasta con un telo di cotone (io ho usato un colino a maglie fitte, rivestendolo con un classico "canovaccio") e versarvi il contenuto della pentola di mele raccogliendo il succo in un altro recipiente. Non schiacciare le mele ma lasciare filtrare per tutta la notte (io però ho ripiegato gli angoli dello strofinaccio sopra le mele e ho messo sopra al "pacchetto" così ottenuto 2 batticarne). Il giorno seguente raccogliere il succo in un barattolo a chiusura ermetica e metterlo in frigorifero per far depositare eventuali sedimenti residui (non l'ho fatto perchè il mio succo è filtrato per 24 ore anzichè per una notte e tutte le impurità si erano comunque depositate).
Pesare il succo e per ogni chilogrammo aggiungere lo zucchero e il succo di limone. Mettere in una pentola, mescolare per sciogliere lo zucchero, poi mettere sul fuoco e fare bollire a fiamma vivace fino al raggiungimento della consistenza giusta.
Dato che era la prima volta che mi dedicavo a questa gelatina, non avevo idea del tempo necessario per raggiungere lo stadio "gelatina": dopo mezz'ora di bollitura, lasciato raffreddare, il succo aveva raggiunto la consistenza di uno sciroppo; è stata necessaria un'ulteriore fase di bollitura di circa venti minuti per avere una trasparente gelatina di un meraviglioso colore, che non ha niente a che vedere con il colore della mela cotogna e della marmellata preparata quindici giorni fa.

Nota a piè di pagina n. 1: a causa del complesso lavoretto del dentista anche sulla mia mandibola è comparso un ematoma che ha assunto - tra i tanti - anche il colore foglia d'acero (scuro).


Nota a piè di pagina n. 2: l'altro ieri ci ho riprovato: altro giro, niente compere, se non un paio di scarpe definite "charleston", tanto  sfiziose quanto poco invernali.


Nota a piè di pagina n.3: un ringraziamento speciale allo "spazio di Staximo" che ha inserito il mio giovanissimo blog nella lista dei  FoodBlog Italiani.

giovedì 20 ottobre 2011

Immagini d'autunno

Sono più miti le mattine
E più scure diventano le noci
E le bacche hanno un viso più rotondo,
La rosa non è più nella città.

L'acero indossa una sciarpa più gaia,
E la campagna una gonna scarlatta.
Ed anch'io, per non essere antiquata,
 Mi metterò un gioiello.

Emily Dickinson

sabato 15 ottobre 2011

Il vento non sa leggere, ma mi piace lo stesso....

Non me ne vogliano tutti coloro che detestano il vento, perchè scompiglia i capelli, perchè rende nervosi, perchè secca la pelle, perchè fa venire mal di testa.... : so che rischio di passare perlomeno per bizzarra, se non per suonata, ma  a me il vento piace, in qualunque stagione.
Il vento mi rende irrequieta, ma  di un’irrequietezza piacevole, potrei dire quasi euforica, mi dà una sensazione di libertà e di energia, mi  fa venire voglia di partire, di viaggiare, di andarmene a spasso.
Mi affascina il vento nei temporali quando sposta, raggruppa, sconvolge e ricompatta i nuvoloni, mi  piace il vento che mozza il respiro al   mare o in alcune zone particolari del lago, mi piace il vento con la pioggia (e pazienza se ho appena lavato i vetri).
Mi diverte il vento nelle giornate limpide in cui i colori sono più brillanti, i contorni più netti, e sembra di poter toccare, al di là del lago, le montagne, che  rivelano di non essere una massa piatta,  ma mostrano tutte le loro asperità, le rientranze e le sporgenze della roccia.
Mi incanta vedere gli alberi che si muovono all’unisono, ma ciascuno secondo le proprie caratteristiche e mostrano colori insoliti, come succede agli ulivi che sembrano diventare d’argento o, invece, si spogliano rapidamente, come è successo in questi giorni al  pruno che vedo dalla finestra della cucina.
E poi, per essere pratici, volete mettere fare il bucato in un giorno di vento? Asciugano in un attimo, senza problemi,  lenzuola e asciugamani.
Sul vento ho due sole considerazioni negative: detesto il vento in città perchè fa volare, insieme alle foglie, anche  ogni sorta di sporcizia e evito di guardarmi allo specchio nelle giornate invernali  limpide e ventose  perchè la luce è impietosa  e  ogni difetto si evidenzia in maniera crudele (forse d’estate la luce è più morbida).
Domenica scorsa qui era una spettacolare giornata di vento freddo, ma con il sole ancora abbastanza tiepido: se avessi dovuto dar retta alla mia follia, avrei chiuso baracca e burattini per andarmene in giro, magari in montagna; invece, mentre i pensieri volavano “via col vento”, la testa è rimasta  sulle spalle e i piedi ben ancorati per terra e mi sono accontentata di un paio d’ore  in giro con marito e Pulce, sui sentieri che salgono dietro casa, a  cercare castagne che quest’anno  non ci sono, rami e bacche per una composizione autunnale.
E il resto della giornata? Il resto della giornata è stato dedicato a trasformare l’esuberante raccolto di mele cotogne in marmellata....

Ingredienti
  
per 1 kg di polpa di mele cotogne
500 grammi di zucchero
succo di 1 limone


Procedimento

Lavare le mele cotogne, pulendole bene dalla peluria che riveste la buccia.
Metterle in una pentola  che le contenga tutte e coprirle di acqua; portare a ebollizione e lasciar cuocere fino a che la polpa si è ammorbidita (in pratica quandola buccia si rompe). Lasciar raffreddare e quindi recuperare tutta la polpa, se volete buccia compresa. Frullare con frullatore a immersione; aggiungere per ogni kilogrammo di polpa 500 grammi di zucchero e il succo di un limone; cuocere a fuoco moderato per mezz'ora, quaranta minuti, mescolando spesso, altrimenti la marmellata si comporta come magma in eruzione e spruzza a destra e a manca su piastrelle e pavimenti , magari puliti di fino  il venerdì pomeriggio precedente, come è successo a me (alla Pulce però la marmellata che fa "blop" è piaciuta molto).
Invasare e sterilizzare secondo quanto si è abituati a fare: io - per motivi di tempo - lascio raffreddare, invaso nei barattoli precedentemente lavati e asciugati in forno (mentre i tappi li faccio bollire); sterilizzo facendo bollire i vasi in un pentolone, separandoli opportunamente con uno strofinaccio.

 
Nota a piè di pagina n.1: per domani non si prevede  vento, ma freddo e niente sole, quindi sarà una giornata ideale per la cucina e io  ho ancora un cesto pieno di mele cotgone : che cosa ne faccio? altra marmellata? una gelatina? ho letto la ricetta di una Tarte Tatin con le mele cotogne: ci provo?

Nota a piè di pagina n. 2 :  "Il vento non sa leggere", "Via col vento", "Canne al vento" ... ce ne sono altri?




giovedì 6 ottobre 2011

Paradelli coi pinciruoli



Un piccolo ritaglio di tempo per una ricetta fatta di niente, la ricetta del "paradello" che sta a mio padre  come le patate americane stanno a mia madre, che  ha sapore d’infanzia e  mi riporta alla mente merende d’autunno di tanto tempo fa;  la ricetta di un piatto povero della tradizione lombarda che cambia nome  al cambiare del paese (quasi) e che è stata motivo di discussione con amici “indigeni”, i quali sostenevano che io,  non essendo  "laghèe" purosangue, non sarei stata capace di prepararla.
E invece sono capace (e chi non lo sarebbe?!) ....

Ingredienti 

  • 200 - 250 grammi di farina
  • latte q.b.
  • 1 uovo (facoltativo) 
  • 1 pizzico di sale 
  • 1 cucchiaio di zucchero
  • acini di uva americana : in dialetto "pincirö" (pinciroeu), italianizzato in "pinciruoli")

  • olio per friggere






Procedimento

Preparare una pastella amalgamando l'uovo con la farina e aggiungendo il latte un po' alla volta, mescolando con cura perchè non si formino grumi (la versione poverissima della ricetta prevede una pastella di solo latte e farina, senza l'uovo). Quanto latte si deve aggiungere?  qui si dice che si deve fare "a stim", ovvero a stima, a occhio, in modo da avere una pastella nè troppo densa nè troppo liquida...
Aggiungere sale e zucchero e mescolare; lasciar riposare un'oretta, in modo che la pastella si gonfi, diventando cremosa. Poco prima di friggere buttare nella pastella gli acini d'uva americana (2-3 per frittella) precedentemente lavati.
Scaldare l'olio in una padella bella larga e, quando sarà bollente, versarvi la pastella a cucchiaiate, per ottenere delle piccole frittelle. Farle cuocere da entrambi i lati, girandole con una paletta, a fuoco non troppo alto perchè non brucino. Quando i "paradellini" sono diventati belli dorati,  metterli su un piatto con carta da cucina per farli ascigare un po'. Servirli caldi, spolverizzati di zucchero.



nota a piè di pagina n. 1: come dicevo sopra,  il paradello cambia nome  con una certa frequenza: basta  spostarsi di pochi chilometri perchè si chiami anche cutizza, cutiscia o laciada.

nota a piè di pagina n.2: invece che gli acini di uva americana, si possono aggiungere fettine sottilissime di mela e, invece di fare delle frittelline, si possono fare  frittelle grandi come la padella, da dividere a spicchi.

nota a piè di pagina n.3: una volta questo piatto poverissimo costituiva un pasto completo (non all'età della pietra, ma quando mio padre era  bambino sfollato qui dai nonni, in tempo di guerra); adesso ci sono ristoranti raffinati dove i paradelli vengono proposti come insoliti dolcetti tipici....

nota a piè di pagina n. 4: le foto sono quelle che sono, ma sono state scattate di corsa, in cucina, di sera (ho tutte le attenuanti del caso)

sabato 1 ottobre 2011

Un venerdì pomeriggio

Un venerdì ogni tanto  ho la mia mezza giornata libera dal lavoro (non che siano ferie, sia chiaro: se sto a casa di venerdì lavoro di sabato mattina); per essere precisi, libera dal lavoro d'ufficio perchè poi mi aspettano le faccende domestiche, quelle che non si riescono a fare tutti i giorni: dopo un rapido spuntino,  parto, armata fino ai denti di scopa, straccio, spazzolone, secchio, detersivo e altri attrezzi....e inizio dalla cucina per passare come un turbine in tutte le altre stanze con l'intento di completare l'opera entro il ritorno a casa del marito con la Pulce al seguito,
Ieri però ho deciso che no, non avrei fatto il mio raid domestico del venerdì, nè mi sarei dedicata alla cesta stracolma di panni da stirare, ma che avevo diritto a un po' di tempo per me, per scrivere due righe e una ricetta, per riprendere fiato dopo due settimane in cui la vita vera, quella dove non ci sono solo le cose belle, le amiche bloggerine, i posti virtuali incantati, ha preso il sopravvento e ci ha dato un altro scossone.
Anche in queste due ultime settimane, però, nonostante tutto, abbiamo pur dovuto mangiare e quindi la cucina ha funzionato a regime normale; non solo, ma mi sono trovata il frigorifero invaso dall'uva americana (o uva fragola per i non lombardi), maturata contemporanaemente sull'unico, ma rigoglioso filare dell'orto della nonna, nella vigna in miniatura di mia zia sulle colline tortonesi e sui banchi del supermercato, dove è stata acquistata senza pensare da un marito trafelato, alle prese con .... la vita vera.
L'anno scorso(quando è successa più o meno la stessa cosa, a causa di una vendemmia molto generosa sulle colline tortonesi)  l'uva è stata  trasfomata in marmellata (poco apprezzata, ahimè) e messa sotto grappa (con riscontri molto più positivi); quest'anno, dopo aver visto la splendida schiacciata  di Gaia,  mi sono buttata sui dolci e così prima ho sfornato la "pizza della vendemmia" e poi - per amore della tradizione - uno di questi giorno preparerò  il "paradello coi pinciruoli".
La ricetta della "pizza della vendemmia" (che della pizza non ha nulla) è tratta da un ricettario d'altri tempi: l'aveva regalato mio padre, da ragazzo, a sua madre; tenete conto che la mia nonna paterna era nata nel 1897 e  che mio padre è nato agli inizi della guerra. Una volta aveva la sua brava copertina e  le pagine erano tenute insieme da una spirale metallica, adesso la copertina si è persa e il ricettario è stato ricucito con uno spago da arrosto che svolge egregiamente il suo compito. Da bambina l'ho sfogliato avanti e indietro infinite volte ammirandolo profondamente, perchè ciascun dolce  - che non ho mai trovato in nessun altro ricettario -  oltre al suo nome, ha un sintetico commento; la pizza della vendemmia è definita "delizia di settembre", la torta della Zia Carolina è qualificata come "torta vecchio stile" e la composta Diavoletto è destinata invece "ai bambini buoni" (e così via...).
Quanto ai "paradelli".... è un'altra storia.

LA PIZZA DELLA VENDEMMIA

INGREDIENTI

per la pasta
150 grammi di farina bianca
75 grammi di burro
un pizzico di sale
due cucchiai sacrsi di zucchero semolato
qualche cucchiaio di acqua fredda

per il ripieno
600 grammi di uva
2 uova intere
4 cucchiai colmi di zucchero
5 cucchiai di mandorle macinate a polvere
250 gdi panna fresca (o metà panna e metà latte)
un cucchiaio di kirsch (io in realtàuso la grappa...)

PROCEDIMENTO

In una ciotola capiente mettere la farina e unire il burro a pezzetti; aggiungere sale, zucchero e acqua fredda in quantità sufficiente a formare una palla di pasta nè troppo dura nè troppo molle (così dice la ricetta...), evitando di impastare.
Imburrare una tortiera e cospargerla di pan grattato o di biscotto secco grattuggiato; rivestirla con la pasta fino all'orlo. 
Separare dal graspo gli acini d'uva, lavarli e stenderli regolarmente sulla pasta.
Mescolare in un'altra ciotola gli ingredienti del ripieno (uova, panna, zucchero, mandorle e liquore) e versare sull'uva. Ripiegare un po' il bordo della pasta. Cuocere in forno moderato per un'oretta.

Nota a piè di pagina n. 1: come si vede dalla fotografia del ricettario dei tempi andati la ricetta  prevede l'utilizzo di uva bianca, ma io dovevo smaltire l'uva americana (questa volta non era un esperimento, perchè la sostituzione era  stata collaudata più volte in passato, sia da mia madre che da me). Le dosi che il ricettario indica sono per 4 persone; io ho aumentato (una volta e mezza) per avere un dolce più grande. 


Nota a piè di pagina n. 2: io non ho la pazienza di Gaia e l'uva è finita nel ripieno della torta completa dei suoi nocciolini (gandolini in dialetto - vinaccioli in italiano):si mangia e....si sputa!