mercoledì 30 novembre 2011

Come le stelle del cielo, come i granelli di sabbia del deserto, come i chicchi di melograno


Una delle mie  bisnonne paterne si chiamava Gilda, si dice che fosse molto bella ed è morta di parto poco più che trentenne perchè l’aveva assistita una vicina di casa, anzichè l’ostetrica, che abitava dall’altra parte del lago e che nessuno si era sentito di andare a prendere in barca perchè il vento era troppo forte e la strada ancora non esisteva (non è il medioevo, ma l’inizio del secolo scorso).
Oltre a un certo numero di maschi, qualcuno poi emigrato in America, Gilda aveva avuto tre figlie femmine: Maria, Maddalena e Linda.
La prima, sposa a sedici anni, ha avuto tre figli maschi e tre figlie femmine (e ne ha avuto solo sei perchè il marito è stato soldato nella Grande Guerra).
La seconda, che si era sposata indossando con un abito di velluto nero, ritenuto una grande eleganza, aveva fatto  - per l’epoca – un signor matrimonio, perchè è vero che lo sposo era zoppo, ma non era una “paisan”, un contadino, ma un operaio, con posto e stipendio fisso; anche lei aveva avuti due figli, maschi.
La terza, la più piccola, Linda, nata nel 1897, era la mia nonna,  mandata a servizio a milano a dodici anni, dopo il matrimonio della sorella maggiore, che fino ad allora aveva fatto da mamma ai suoi fratelli. Il bisnonno, infatti,  nel giro di pochi anni si era risposato, ma la seconda moglie,  come nella favola di cenerentola, non aveva accolto a braccia aperte la nidiata di orfani, che la chiamavano - con rispetto e timore – la mamm madregna.
La mia nonna, sposa a sua volta il 25 aprile 1929 (aveva il doppio degli anni a cui si era sposata la maggiore delle sue sorelle!!), ha dovuto aspettare  undici anni prima di riuscire a diventare mamma, pochi mesi prima dell’inizio della guerra, quando ormai nessuno avrebbe più scommesso nulla su di lei, tant’è che l’annuncio della sua maternità aveva suscitato lo sconcerto delle sorelle, convinte che fosse quasi uscita di senno.
Suo figlio, mio padre, è nato quando una delle sue prime cugine era  già a sua volta madre da un pezzo e da bambino, sfollato sul lago durante gli ultimi anni di guerra, aveva tra i compagni di gioco i suoi secondi cugini.
Il mio nonno paterno, dall’impossibile nome di Cleto, avrà avuto  sua volta una madre, ma le leggende familiari non  ne conservano traccia, anche perchè tutto il parentado era nella campagna pavese, troppo lontano ...

Dall’altra parte, sul versante materno, una delle mie bisnonne, che nei racconti di famiglia è sempre stata nota come “la nonna marietta” - bella donna (una delle poche fotografie la ritrae serissima il giorno del fidanzamento) e ottima cuoca (mia madre custodiva gelosamente un taccuino con le sue ricette, scritte con un inchiostro ormai sbiadito) - ha avuto tre figli, tutti e tre battezzati,  per vezzo del bisnonno (fornaio, granatiere e gran lettore), con nomi inizianti con la lettera A: una delle due femmine era la mia nonna materna.
L’altra bisnonna materna era la nonna Esterina, che gestiva, in una piccola cittadina veneta,  “l’osteria dell’americana”; l’americana non era lei, ma la suocera che, in gioventù  aveva fatto la spola tra le due sponde dell’oceano, commerciando non si sa bene cosa ed aveva messo al mondo un figlio dal nome assurdamente napoletano .
A sua volta la nonna esterina ha avuto, compresa una coppia di gemelli, 8 o 9 figli, ,  tra i quali il mio nonno materno, quello che, in un giorno di agosto, ha portato a Milano, in treno, oltre alla sposa, anche la famosa pesantissima scatola “piena de feri”.
I miei nonni materni hanno avuto due figlie, mia madre, nata già in tempo di guerra e mia zia, nata invece  in tempo di pace.
I miei hanno avuto tre figli: oltre a me, un’altra femmina e un maschio (che tutti si aspettavano  femmina, tanto che avrebbe dovuto chiamarsi Anna).
Su di me è meglio stendere un velo pietoso, su mio fratello è troppo presto per esprimere giudizi (la mia deliziosa  cognata – e non è ironico l’aggettivo, ma sinceramente affettuoso – è giovane ed ha una lunga strada davanti), mia sorella continua la tradizione e, dopo il piccolo T ed il piccolissimo S,  chissà che non arrivi  magari un nuovo nipotino.
A tutte le donne della mia famiglia, a quelle con cui oggi condivido sogni, sorrisi e lacrime, a quelle che ho conosciuto solo nei racconti e nelle leggende  e a quelle che  hanno fatto parte della mia vita per anni o anche solo per un battito d’ali, dedico questa scintillante gelatina di melograno, frutto che per antonomasia rappresenta la fecondità e la vita.

Gelatina di melograno 


Ingredienti
melograni
zucchero
scorza d'arancia
  Procedimento
Sgranare i melograni liberandoli accuratamente della pellicina bianca che “allappa”; schiacciare i chicchi con uno schiacciapatate premendo bene,  per ottenere la maggior quantità possibile di succo.

Pesare il succo e aggiungere lo stesso peso di zucchero; aggiungere un po’ di scorza di arancia (non la parte bianca) e mettere sul fuoco, mescolando per far sciogliere lo zucchero. Portare ad ebollizione e lasciar cuocere a fuoco vivace.
Non essendo io molto esperta di gelatine, ad un certo punto interrompo la cottura e lascio raffreddare per valutare la consistenza: se lo stadio è ancora quello dello sciroppo faccio cuocere ancora un po’ (attenzione però: il rischio è quello di caramellare il preparato....), altrimenti invaso e sterilizzo come al solito.

Nota a piè di pagina n. 1: dopo aver sgranato e spremuto i melograni la cucina aveva l’aspetto di una macelleria mentre le mie mani oltre ad avere un colorito giallogolo, complice l’effetto astringente del melograno, si erano rinsecchite ....

Nota a piè di pagina n.2: la ricetta è liberamente  tratta da "Il libo delle marmellate, conserve e gelatine di frutta" - Giunti Demetra, che ho sperimentato per la prima volta, per usare i melograni che quest'anno hanno dato un raccolto strepitoso.

Nota a piè di pagina n.3: sono arrivata alla mia età per scoprire che i chicchi del melograno sono disposti a  formare degli spicchi...




martedì 22 novembre 2011

Vorrei essere un carciofo

Tanto mi viene facile impastare un pane casalingo, sfornare  una torta, preparare  una marmellata, allestire un centrotavola, trovare la poesia giusta, oltre ad altre analoghe inutili frivolezze, quanto sono imbranata (intrega in dialetto rende molto meglio la mia condizione) in cose più pratiche ed utili.
Una per tutte: guidare.
Ho qualche  giustificazione: ho preso la patente tardi; dopo che ho preso la patente la macchina è servita a mio fratello, neo patentato e neo studente universitario; dopo il matrimonio  ho preferito destinare le risorse economiche ad altro che ad una nuova auto; durante la gravidanza, a  lungo attesa, mi è stato sconsigliato di guidare; abito in un posto con un panorama spettacolare, ma con una strada  tutta curve e così stretta che, in alcuni punti, una macchinina piccina come la mia e un furgone (non un tir) si sfiorano, ma la motivazione fondamentale è una: ho paura e, come si sa, la paura – come la fretta – non è una buona consigliera.
La attuale situazione  familiar- lavorativa richiederebbe che io vincessi questa condizione e, tenendo presente che ha imparato a guidare a sessantanni suonati anche una cugina di mio papà - nota per essere un intralcio anche quando si muoveva a piedi -  mi dessi una mossa e non guidassi solo in caso eccezionalissimi. E così, con il marito istruttore paziente, mi sono riavventurata sulle strade, quotidianamente. Non è che combini chissà quale guaio, ma vado piano e soprattutto – mi spavento.... come è successo qualche sera fa, quando dietro una curva c’erano un furgone e un camion; da brava mi sono fermata, ben da parte, ma senza eccedere (altrimenti finivo nel lago), attendendo il passaggio dei mezzi più ingombranti,  solo che..... solo che la macchinina si è spenta, la prima non rientrava, da dietro e da davanti hanno iniziato a suonare e a strepitare e io non sono più stata in grado di ripartire, ho lasciato il posto al marito paziente (che nel frattempo aveva  perso la pazienza), il quale è sceso dalla macchina giusto in tempo per sentire la sequela di insulti della giovine signora  nell’auto immediatamente dietro che ha iniziato a inveire contro quel c... (e non sta per catorcio) di macchina  etc..... 
Alla fine: scintille, morale mio sottozero, macchina parcheggiata a cuccia dietro casa .
In queste circostanze vorrei avere la grinta di mia sorella che lancia fulmini con gli occhi, vorrei avere la compostezza della famosa zia Paola, che agli insulti reagiva da vera signora, freddando l’interlocutore, vorrei avere la sicurezza di mio fratello che non si lascia mettere sotto i piedi da nessuno, vorrei  .... vorrei essere  un carciofo,  vorrei essere dura e  coriacea all’esterno, capace di pungere e di difendermi, rimanendo tenera  all’interno, come questi carciofi che ho usato per uno dei miei piatti preferiti .

Carciofi con la mozzarella

Ingredienti

4/5 carciofi
Prezzemolo
Uno spicchio di aglio intero
Olio
Sale
2 mozzarelle


Procedimento

Pulire i carciofi, togliendo le foglie esterne più dure e la parte finale con le spine; dividerli a metà e togliere il fieno interno e metterli, man mano, in acqua fredda con il limone.
In una padella bassa e larga mettere l’olio e l’aglio (intero o diviso a metà) e disporvi i carciofi,   mettendo in ciascuno un po’ di prezzemolo tritato. Far cuocere fino a che i carciofi sono teneri, salandoli  leggermente e bagnandoli ogni tanto con un po’ di brodo (di dado).

  
Quando i carciofi sono cotti, disporli in una pirofila con un po’ del loro intingolo di cottura e coprirli bene con la mozzarella tagliata a fettine.
Infornare a 180° gradi per una ventina di minuti o comunque fino a che la mozzarella è ben fusa e fa un po’  - ma appena appena – di crosticina dorata.


Nota a piè di pagina n. 1: mia madre aveva  mangiato questi carciofi a casa della zia Paola citata più sopra che li serviva come “piatto di mezzo” in occasione delle sue cene di gala (lo erano veramente); in casa nostra era diventato un piatto unico con cui servire verdura e formaggio in un colpo solo. Io poi che da bambina non mangiavo altro formaggio che la mozzarella li apprezzavo (ma li apprezzo ancora) in modo particolare. 

Nota a piè di pagina n. 2: per dare un'idea della strada: tempo fa alcuni amici (cittadini, va detto, e di pianura) mi hanno chiesto se era a senso unico ....



mercoledì 9 novembre 2011

Dopo il rosso acero, giallo zucca!

Questo è il cielo di stamattina , poco dopo le  sette e per fortuna che prima di andare al lavoro (che peraltro nel complesso mi piace) posso riempirmi gli occhi di questa luce e di questi colori perchè, che piova o ci sia il sole, che sia caldo o freddo, per quattro stagioni e dodici mesi all’anno quello che si inquadra da una delle finestre del mio ufficio è grigio, desolatamente grigio.
Non va molto meglio dall’altra finestra dalla quale  riesco a veder sporgere dalla  cancellata che circonda il giardino della casa di fronte, una fronda di abete e la cima di un melograno, l’unico che mi dà il segno del succedersi delle stagioni con i  fiori scarlatti, le foglie lucide e i frutti che spiccano adesso tra le foglie gialle e che  nessuno raccoglie e cadono sulla strada.
E’ vero che così non ci sono distrazioni (in realtà non ci sarebbero lo stesso perchè le finestre sono alle  mie spalle) , ma vorrei - come altre colleghe – vedere  anch’io un angolino di cielo, un ritaglio di verde, una punta di montagna. Solo sul pianerottolo della scala c’è un finestrino di una spanna per tre da cui si inquadrano in un colpo solo, come in una cartolina, cielo, verde e montagna, ma è questione di un attimo, il tempo di passare per arrivare in ufficio al mattino e di risalire dopo la pausa pranzo.
In questi giorni poi, grigi per le  nuvole e per la pioggia, con i neon accesi tutto il giorno, perchè anche il soffitto è grigio (scuro), grigi per i ricordi che si addensano, grigi per le delusioni, grigi per l’ambiente che in ufficio si è creato negli ultimi tempi, ancora più grigi se paragonati a quelli – inondati di luce -  appena trascorsi in montagna – non posso che desiderare i colori.
E allora stivali neri e vestito grigio, ma ombrellino giallo in tinta con la
Crema di zucca

Ingredienti
Le dosi sono "a stim" come si dice dalle mie parti, dato che non so esattamente quanto pesi la polpa che si ricava da mezza zucca (ovviamente dipende dalla zucca). Quella che ho usato pesava  - intera - circa 2 kg.
  • mezza zucca
  • 1 patata più piccola che media
  • mezzo porro (metà della parte bianca)
  • 2 fettine di speck
  • qualche filo di erba cipollina
  • olio
  • sale
  • dado granulare
 Procedimento


Tagliare a spicchi la zucca, togliere accuratamente la scorza, riducendo poi la polpa a pezzi più o meno della stessa grossezza; sbucciare e tagliare a pezzetti la patata. Lavare le verdure.
Pulire il porro, tagliarlo a rondelle sottili e farlo rosolare  in 2 o 3  cucchiai di olio; aggiungere la zucca e la patata e far insaporire. Coprire a filo di acqua, aggiungendo un po’ di dado granulare  e far cuocere a fuoco basso fino a che zucca e patate sono morbidissime.
Passare con il frullatore a immersione fino ad ottenere una crema vellutata; se è troppo densa aggiungere un po’ di acqua o di brodo, valutando se sia già sufficientemente saporita o meno.
Prima di servire, tagliare lo speck a striscioline, e farlo rosolare senza condimento in un padellino antiaderente.
Servire la zuppa ben calda con le striscioline di speck croccante e l’erba cipollina tagliata a pezzettini.


Nota a piè di pagina n. 1
Perchè la crema  venga bene è ovviamente fondamentale che la zucca sia di buona qualità; mia sorella mi ha procurato delle piccole zucche piacentine perfette per colore, consistenza e dimensioni (con metà  ottengo 4 porzioni di crema).

Nota a piè di pagina n. 2
La patata serve ad addensare la crema, evitando l’uso di besciamella o panna che la renderebbero certo più raffinata ma meno .... light. Si può usare anche un pugno  di riso, da far cuocere insieme alle verdure.
Un po' più difficile capire a che cosa serva il batticarne nella foto: non essendo particolarmente forzuta, per tagliare la zucca uso martello e scalpello o - meglio - coltellaccio e batticarne.

Nota a piè di pagina n. 3
La ricetta è stata adattata, sempre per esigenze di tempi, rispetto a quella che mi ha passato la cugina L. e che prevede un più accurato “rosolamento” di tutte le verdure e l’aggiunta dello speck a cubetti  nella crema. A me striscioline e erba cipollina piacciono anche per l’effetto cromatico. L’altra sera non avevo a disposizione speck affettato per cui mi sono piegata all’idea dei cubetti.

Nota a piè di pagina n. 4
Quattro anni fa  - e mi sembra un secolo - per il battesimo della Pulce avevo indossato, su una gonna ovviamente nera, una bellissima giacca color giallo zucca, ma allora avevo quattro anni meno e l’esuberanza orgogliosa di una mamma tardiva....

martedì 1 novembre 2011

Sogni

Ci sono montagne che sfiorano il cielo come i sogni
e pianure in cui tutti i sogni si perdono.